A chi non è mai capitato di invaghirsi di qualcuno a tal punto da provarle tutte pur di scambiare due chiacchiere oppure di avere anche il minimo contatto fisico (della serie, ogni scusa è buona)?
Ebbene, bisogna prestare molta attenzione in questi casi, poiché un corteggiamento molto insistente potrebbe configurare il reato di molestie, previsto dall’art. 660 c.p.
Lo ha stabilito, con una sentenza recentissima, la Corte di Cassazione la quale ha affermato che: “Configura il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, manifestamente a ciò contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà.” (Cass. sent. N. 7993/2021 del 01.03.2021)
Il reato di molestie, previsto dall’art. 660 c.p., punisce “chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo, con l’arresto fino a 6 mesi e l’ammenda da 10€ a 516 €.”
La norma in esame richiede che il soggetto agente agisca per petulanza o altro biasimevole motivo: con la petulanza si indicano tutti quei modi di agire pressanti, impertinenti e vessatorio, che interferiscono inopportunamente nell’altrui sfera di libertà o quiete.
Con il “biasimevole motivo” si fa riferimento, invece, a ogni movente che risulta riprovevole, in se stesso o in relazione alle qualità e condizioni della vittima.
La condotta realizzata deve recare molestia (da intendersi come tutto ciò che altera, in modo fastidioso e inopportuno, lo stato psichico di una persona) oppure disturbo (nel senso di alterazione delle normali condizioni di vita delle persone) alla vittima.
Ai fini della sua configurabilità, il reato di molestie richiede il dolo quale elemento soggettivo, inteso come coscienza e volontà che la condotta tenuta sia idonea a molestare e disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l’eventuale convinzione di operare per un fine non biasimevole o, addirittura, per il ritenuto conseguimento della soddisfazione di un proprio diritto, con modalità legali. (in tal senso, Cass. 11/06/2013, n.33267)
Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici della Suprema Corte, l’uomo era stato, in precedenza, condannato dalla Corte di Appello di Trieste a tre mesi di arresto per il reato di molestie poiché aveva cercato di instaurare, attraverso una serie di comportamenti inopportuni, un rapporto comunicativo e confidenziale con una giovane barista, che non lo conosceva e non intendeva avere relazioni di alcun genere con lui.
Infatti, “lo spasimante” al fine di corteggiare la giovane donna, in più occasioni aveva simulato degli incontri casuali, all’interno del bar dove lavorava la vittima (entrando ripetutamente con pretesti, senza consumare nulla, ma con il solo scopo di incontrarla e tentare approcci) e anche per strada.
In un’occasione, addirittura, la inseguiva, salendo sul suo stesso autobus o, ancora, effettuava deli appostamenti sotto casa sua.
La rappresentazione della vittima al corteggiatore di non gradire le sue avances ossessive e petulanti (l’uomo, infatti, risultava essere perfettamente consapevole del forte fastidio arrecato alla donna, poiché quest’ultima dichiarava di avergli più volte espresso: “il proprio disappunto per un corteggiamento tanto ostinato quanto sgradito e ritenuto esplicitamente molesto, pressante e intollerabilmente indiscreto”), non lo hanno comunque fatto demordere dal suo proposito, tantoché lo stesso continuava a porre in essere i comportamenti su descritti.
Per queste ragioni, la Suprema Corte ne confermava la condanna, emessa nel precedente grado di giudizio.
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