Il caso: Caia ci riferisce che suo marito Tizio, da cui si sta separando, quando ancora vivevano insieme l’ha convinta a trasferirgli la proprietà delle quote di una società di cui era proprietaria, per poi assumerla come dipendente. In cambio le cedeva l’intera proprietà della casa in ci vivevano e di cui Caia già deteneva il 50% . Si noti bene che la casa era gravata da mutuo bancario.
Purtroppo l’uomo cominciava a porre in essere una serie di condotte vessatorie, giungendo fino al punto di praticarle del vero e proprio mobbing, tanto che la Sig.ra si vedeva costretta a licenziarsi.
Successivamente, Tizio e Caia, a causa di liti continue, decidevano di separarsi consensualmente nel 2019.
Dopo la separazione, la Sig.ra Tizia si ritrovava, con solo il suo stipendio molto modesto, a fare fonte alle esigenze dei due figli minori, nonché a pagare da sola la rate del mutuo della casa coniugale.
La Sig.ra é molto preoccupata poiché, oltre a dover provvedere da sola al pagamento del mutuo, si ritrova ad essere garante di due importanti fideiussioni bancarie che la stessa ha prestato quando ancora era amministratrice della s.r.l. col marito.
La signora non ha un lavoro, Caio non le versa gli alimenti, ed il suo unico bene di proprietà è la casa in cui vive con i figli, ed è gravato da mutuo.
La stessa era, peraltro, molto preoccupata per le due fidejussioni da lei prestate, avendo paura di non riuscire a far fronte ai debiti assunti e temendo una eventuale procedura esecutiva a suo carico, nel caso in cui il marito non avesse effettuato i pagamenti.
In particolare, la sig.ra Tizia ci domandava se la procedura per sovraindebitamento potesse essere una giusta soluzione per risolvere i suoi problemi.
La procedura di sovraindebitamento è stata introdotta nel nostro ordinamento con la l. 3/2012 e consente a chi si trovi in gravi difficoltà economiche (in particolare, soggetti considerati fallibili quali consumatori, imprenditori agricoli, start-up innovative ecc.) di ridurre, direttamente, l’ammontare dei propri debiti oppure dilazionarne i pagamenti, attraverso una apposita procedura che prende il nome di esdebitazione.
A seconda che il soggetto sovraindebitato abbia assunto le obbligazioni ai fini dell’esercizio di un’attività di impresa oppure per scopi personali, le modalità con cui proporre l’esdebitazione saranno differenti.
In particolare, il debitore potrà proporre:
“1) Accordo di composizione della crisi e ristrutturazione: ai creditori viene proposto un progetto con importi e tempi definiti per saldare in tutto o in parte i debiti. L’accordo è raggiunto se sono favorevoli creditori che rappresentano almeno il 60% del debito.
2) Liquidazione del patrimonio del debitore: il debitore e il Gestore individuano i beni da vendere e destinano il ricavato al pagamento in tutto o in parte dei debiti.
3) Piano del consumatore: funziona come l’accordo ma non è necessario il parere favorevole dei creditori ed è riservato esclusivamente a debiti che non riguardano una attività professionale in corso” (Fonte: Camera Arbitrale di Milano)
Il problema del sovraindebitamento si è posto, soprattutto, in casi analoghi a quello della Sig.ra Tizia ossia di soggetti che avevano prestato delle fidejussioni per garantire le attività imprenditoriali e commerciali di amici e parenti.
Inizialmente, si escludeva questa possibilità per il debitore fidejussore di attività d’impresa e/o commerciali. Oggi, invece, in questi casi, secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti, il fideiussore potrà accedere al sovraindebitamento anche se la società garantita è stata già dichiarata fallita o se il fallimento stesso sia ancora pendente.
Il debitore fidejussore potrà attivare la procedura in esame sia nel caso in cui vi sia stata escussione della fidejussione sia nel caso in cui fideiussione non sia stata ancora escussa.
La questione che più frequentemente si è posta casi del genere è se il privato che assume una obbligazione fideiussoria, con eventuale garanzia reale, a favore di un terzo per un debito imprenditoriale possa qualificarsi quale consumatore.
Secondo la nozione fornita dall’art. art. 6 della l. n. 3/2012 il consumatore è “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.
Questo ha portato la giurisprudenza di merito ad elaborare due opposti orientamenti: il primo secondo cui, in questi casi, la qualità di consumatore deve essere esclusa per chi ha garantito debiti di impresa.
Un altro orientamento, sviluppatosi a partire da un’ordinanza della Corte di Giustizia europea, afferma che deve considerarsi consumatore la persona fisica che ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e che non hanno alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società.
Per questo, sul tema, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione, la quale, con un recentissimo arresto giurisprudenziale, ha statuito che: “Per determinare la qualità di consumatore, occorre rapportarsi alla natura della obbligazione garantita (v. Cass. sez. 3, 29 novembre 2011 n. 25212 e Cass. sez. 1, 9 agosto 2016 n. 16827), riconoscendo dunque che il parametro identificativo della qualità di consumatore non si colloca nella obbligazione in sé che il soggetto assume. Si inseriscono nel nuovo orientamento, al quale non può in questa sede che darsi seguito, Cass. n. 28162 del 2019, Cass. n. 25914 del 2019 e Cass. sez. 3, ord. 13 dicembre 2018 n. 32225, che ha puntualizzato: “I requisiti soggettivi di applicabilità della disciplina legislativa consumeristica in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso (e non già del distinto contratto principale), dando rilievo – alla stregua della giurisprudenza comunitaria – all’entità della partecipazione al capitale sociale nonché all’eventuale qualità di amministratore della società garantita assunto dal fideiussore”.
In altre parole, la Suprema Corte afferma che per determinare se il fidejussore possa ricorrere al “piano del consumatore” ovvero solo al “piano di liquidazione” e all’ “accordo di composizione”, bisogna guardare al ”perché” quella fidejussione è stata prestata.
Se da questa analisi risulta che il garante abbia prestato la garanzia per scopi personali, potrà utilizzare il piano del consumatore.
In caso contrario, tenendo conto anche della quota di partecipazione sociale posseduta dal garante e della qualità da lui rivestita di amministratore, dovrà escludersi, in capo al medesimo, la qualità di consumatore.
In tal caso, peraltro, i creditori di Caio potrebbero non accettare il fatto che lo stesso non inserisca nel “piano” anche i suoi beni di proprietà, trovando maggiormente conveniente aggredire prima la società e poi anche il garante piuttosto che accettare l’accordo di composizione della crisi. Dunque, potrebbe non esserci la maggioranza del 60% richiesta dalla legge.
Nel caso della Sig.ra Caia, la stessa rilasciava le due fidejussioni quando era ancora comproprietaria nonché amministratrice delle attività commerciali unitamente al marito.
Perciò, sulla scorta del principio di diritto affermato dalla S.C., non potrà ricorrere al “piano del consumatore”, ma solo agli strumenti previsti dalla legge per i debiti derivanti da attività d’impresa: ossia l’accordo di composizione della crisi e la liquidazione del patrimonio.
In ogni caso, pur essendo legittimata a ricorrere alla procedura di sovraindebitamento e ridurre, così, l’ammontare dei suoi debiti ovvero dilazionarne i pagamenti, questa possibilità non sembra essere funzionale alla situazione della Sig.ra Caia.
La signora potrebbe “offrire” alla procedura la sola casa di proprietà in cui vive, non avendo uno stipendio né una rendita fissa.
Si verificherebbe, di fatto, la situazione peggiore che possa capitarle a seguito della aggressione diretta da parte dei creditori: la perdita del solo bene che possiede. L’unico vantaggio che otterrebbe sarebbe l’esdebitazione, liberando sia se stessa che il marito ( da cui è separata e che le agisce violenza!) dai debiti.
Ricorrere alla procedura di esdebitazione al fine di estinguere le due fidejussioni per l’attività di impresa gestita esclusivamente dal marito, quale socio e amministratore unico, tanto più che nessuna azione esecutiva è stata intrapresa, sembra assumere l’aspetto di una sorta di “autogol” da parte della Sig.ra Tizia, la quale andrebbe, in tal modo, anche ad estinguere i debiti dell’impresa gestita unicamente dal marito e dalla quale era stata completamente estromessa
Tanto più tenendo conto del fatto che le cattive condizioni economiche nelle quali versava erano maggiormente aggravate dal fatto che il marito, non solo non contribuiva alla gestione dei due figli minori, lasciando alla moglie il dovere di provvedervi da sola, ma parimenti non provvedeva ad aiutare la moglie con le rate del mutuo della casa coniugale.
Tanto ci suggerisce che altri dovranno essere altri i rimedi e le strategie da adottare, più confacenti alla situazione debitoria e personale della Sig.ra Caia.
Una ipotesi potrebbe essere questa: tentare un accordo “saldo e stralcio” con la Banca: trovare attraverso un acquirente, vendere la casa, estinguere il debito con un disavanzo di liquidità, acquistare un’altra casa, più modesta, ed intestarla a terze persone di fiducia.
Laddove la signora, in futuro, venisse escussa quale garante per i debiti del marito, risulterebbe incapiente.
Si tenga presente che correrebbe il rischio di una azione revocatoria, ma questa dovrebbe comunque essere esperita entro cinque anni dalla vendita dell’immobile.
Importante: ad oggi la signora non ha alcun procedimento civile azionato a suo carico da parte dei creditori: dunque non c’è ancora alcuna procedura di accertamento dei debiti da parte della Autorità giudiziaria. Al momento ben potrebbe procedere alla vendita dell’immobile senza incorrere nel reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice né violare il divieto di illecita sottrazione dei beni alla garanzia dei creditori.
Avv. Antonietta Clemente, Dott.ssa Serena Silvestri
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